ROMA ITALIA LAB – REVIEW / INTERVIEW

Simona Pandolfi | Roma Italia Lab – 15 marzo 2017

Spazio Y si copre di cenere, materia che torna a vivere grazie all’installazione di Ak2deru. L’intervista al pittore e musicista di origine sarda, che ci spiega la nascita di questo progetto e la compresenza di segni e suoni all’interno delle sue opere

Inaugura oggi, presso Spazio Y, la personale del pittore e musicista Ak2deru, intitolata Cenere.

Per l’occasione, l’artista ha avvolto interamente le pareti dello spazio, quasi volendone ridefinire il perimetro, con grandi fogli di carta dipinti con la cenere. Si tratta di un polittico di dodici metri, costituito da un doppio trittico e un dittico centrale, “compresso” e riadattato alla forma rettangolare della sala espositiva, fino a diventare – “forzatamente” e volutamente – un’installazione site-specific, pur non nascendo con tale intento.

Le opere pittoriche di Ak2deru, da lui definite “monosemi”, si caratterizzano per la ripetizione quasi ossessiva di uno stesso segno, che scandisce in maniera diversificata e mutevole la superficie in base alla gestualità adoperata dall’artista durante l’atto creativo. I segni, a volte netti e fitti, a volte circolari e irregolari, affollano fino a coprire la superficie dell’opera e al tempo stesso la animano, donandole un andamento variabile e ritmato.

In questo caso l’artista decide di utilizzare la cenere come materiale pittorico. La cenere, utilizzata come segno-colore, incarna l’elemento simbolico conclusivo di un ciclo naturale riportato in vita grazie all’azione creativa; attraverso questa installazione, l’artista non fa altro che sottrarre la cenere dall’oblio e dalla dimensione di qualcosa che “è stato”, restituendole un nuovo presente.

Recuperando residui di combustione da più materiali, Ak2deru è riuscito a raggiungere diverse tonalità, dall’ocra al grigio fumo, fino al nero profondo. Come afferma Claudio Libero Pisano, curatore della mostra, per l’artista la cenere «non è soltanto un interessante espediente tecnico, rimanda infatti a una circolarità filosofica e religiosa che da sempre è strumento di indagine. Inizio e fine di ogni cosa».

Il giorno dell’inaugurazione, su un “tappeto” di cenere, lo spettatore potrà camminare al ritmo della musica, quella del batterista Kicco Careddu, all’interno di questa “caverna” immersiva, dove i segni e i suoni si fondono e dialogano tra loro.

Abbiamo incontrato Ak2deru durante le ultime fasi dell’allestimento della sua personale a Spazio Y.

Prima di addentrarci nei dettagli della mostra, vuoi raccontare ai lettori di Ril dove è avvenuta la tua doppia formazione di pittore e musicista?
«Certamente! Io sono nato in Sardegna, precisamente in Tempio Pausania. Mio padre era un batterista professionista e in gioventù si dilettò nella pittura, quindi ho sempre avuto un contatto diretto e privilegiato sia con la musica che con l’arte. A due anni avevo già la mia prima batteria e allo stesso tempo, fin da piccolo, ho iniziato a nutrire un particolare interesse anche per l’arte. A quattordici anni ho cominciato a dipingere. Mi sono iscritto al liceo artistico, poi ho proseguito come autodidatta. A diciotto anni ho deciso di studiare composizione; ho frequentato per alcuni mesi il Conservatorio di Sassari, poi ho continuato a Roma privatamente con Gian Paolo Chiti, allora vicedirettore del Santa Cecilia e uno dei fondatori del corso Nuova didattica della composizione. Con Chiti ho studiato per sette anni. Successivamente, ho proseguito il mio percorso con Alvin Curran, una sorta di “padre spirituale”, con cui ho lavorato  come assistente dal 2008 al 2015».

Nell’ambito artistico, ti consideri principalmente un pittore, oppure sei solito sperimentare altri mezzi espressivi?
«Io mi occupo esclusivamente di pittura e musica. Lavoro su questi due binari: il segno e il suono sono i miei “materiali”. Ho anche una grande passione per il teatro totale e mi piacerebbe concretizzare alcuni progetti in tal senso, per ora sono solo in fase ideativa e sperimentale. Allo stesso tempo mi piacerebbe addentrarmi nella realizzazione di installazioni sonore. Io non ho mai avuto un grande feeling con la sound art, forse perché avendo una formazione da musicista e compositore approccio in una maniera specifica al suono, però per il futuro ho in mente di utilizzare i suoni per alcuni lavori e so già che la caratteristica di queste opere sarà l’invisibilità. L’invisibile e l’inaudibile sono le due dimensioni che mi interessano relativamente alla pittura e alla musica».

Se osserviamo le tue opere pittoriche spesso possiamo riscontrare molti richiami alla musica. Succede anche il contrario? Ci sono composizioni musicali che hai realizzato traendo ispirazione dalla tua produzione pittorica?
«Sempre. Ho sempre avuto dalle arti visive forti stimoli in relazione alla musica e al suono. La pittura, anche nella forma e nella struttura, spesso ha influenzato la mia musica. E naturalmente viceversa; nelle mie opere c’è un “suono-colore”, ma anche vibrazione, ritmo. Inoltre, la pratica dell’improvvisazione ha un rapporto diretto con il fare pittura, possiamo parlare di un gesto quasi musicale del corpo. Sento spesso la necessità di girare intorno all’opera, come in una sorta di danza performativa. Oppure l’interazione, anche questo aspetto è legato alla danza e alla musica».

Come nasce il progetto Cenere all’interno di Spazio Y?
«Conosco Spazio Y da molti anni, sin dalla nascita di questo luogo, e in alcune iniziative ho collaborato con loro. Nel corso di questi anni ho continuato a seguire i loro progetti, finché con questa mostra ho avuto l’idea di realizzare un progetto espositivo specifico, fino a saturare l’intera superficie dell’ambiente. Parlando con Paolo Assenza, ho ragionato sul fatto che questo posto è innanzitutto un luogo dove gli artisti possono mettersi in gioco. Da qui l’idea di organizzare questa mostra come una “sfida” con me stesso.
Per caso, mentre stavo progettando questa esposizione, sono stato ad Assisi. Mi ha colpito l’immagine di San Francesco, che spesso usava la cenere come materiale nella sua comunicazione non verbale. In quel periodo stavo decidendo che tipo di soluzione tecnica adoperare per la mostra e allora ho scelto la cenere, materiale potente anche dal punto di vista simbolico e spirituale.
Tecnicamente si tratta di un polittico su carta dipinto con la cenere grazie all’impiego di una colla a base di cellulosa come legante. Tramite le diverse gradazioni di diluizione della colla ho ottenuto risultati differenti in termini di materia pittorica, a volte più densa, a volte più liquida. Non pensavo ci potessero essere così tante variazioni tonali nel colore-cenere, perché a seconda del materiale e tipo di combustione a cui è sottoposta si possono ricavare una grande varietà di gradazioni tonali».

Perché la scelta di spargere altra cenere sul pavimento per il giorno del vernissage?
«Per aumentare l’effetto immersivo all’interno della sala. Con la cenere rifletto anche sul tema della caducità delle cose. È una sorta di tabula rasa, un ritorno alle origini. La cenere dovrebbe essere il materiale della conclusione, in questo caso viene riutilizzata e quindi rientra nel ciclo creativo, in qualche modo rinasce. La ciclicità è un aspetto che mi è sempre piaciuto».
Poi l’idea di questo lavoro ha avuto una genesi un po’ complessa; è un’installazione site-specific di un lavoro che non lo è. Il polittico ha in realtà una collocazione ideale su un’unica parete di almeno quindici metri secondo una visuale orizzontale. Nella “caverna” di Spazio Y, invece, crea un effetto continuum. I due pannelli centrali, se hai notato, vanno sopra i corrispettivi pannelli laterali; questa soluzione serve per marcare ancora di più il fatto che si tratta di una “compressione” del polittico dovuta allo spazio espositivo, quindi di un lavoro che si “ripiega su se stesso” durante il processo espositivo.
Ci tengo a ricordare che la realizzazione di questa opera è stato possibile anche grazie agli artisti di MUTA, che mi hanno ospitato nei loro spazi di via Gallia Placidia, dove ho potuto lavorare gestendo le grandi dimensione di questa opera. MUTA era la sede dello studio di Paolo Picozza, pittore straordinario scomparso prematuramente; per me è stato un grande privilegio poter lavorare lì e in particolare ringrazio Lu Tiberi per il suo indispensabile supporto».

Prima della cenere hai utilizzato in pittura altri materiali non tradizionali?
«Nelle mie primissime opere, circa venti anni fa, avevo realizzato opere con piume di uccelli e piccoli ossi. Recentemente stavo provando altri materiali e liquidi, come il vino e il caffè . La cenere mi ha appassionato, ha una potenzialità pittorica notevole  e credo che proseguirò con una serie di lavori».

Sempre su grandi supporti?
«Amo lavorare su due dimensioni, o piccole e molto piccole (anche vere e proprie miniature), o grandi e molto grandi. Il dialogo tra gli opposti, anche in relazioni ai formati, rimanda al doppio, al numero due, che poi è contenuto anche nel mio nome d’arte».