Cerimonie di sensazioni e altri procedimenti al dominio della stasi
“Per lʼuomo i fenomeni naturali si possono ridurre a
formule matematiche, ma da queste formule trascende
qualcosa di innominabile, di irriducibile che lascia lʼuomo
meravigliato di fronte al mistero della sua presenza,
di fronte alla sua impressionante bellezza.“
Maria Zambrano
NellʼOccidente secolarizzato il tratto “capostipite” della pittura astratta, sia quello reciso dal gesto individualista così come quello realizzato nellʼarbitrarietà esecutiva, ha con maggiore ricorrenza interessato delle superfici dove lʼassenza di un protocollo cosiddetto figurativo consente dʼintravedere immagini nel loro stadio preassociativo e dʼintendere una decodificante valenza di riscrittura segnica. Questo esercizio creativo, che nellʼarte islamica sʼimpose e si diffuse con lʼarabesco, è avvenuto nel solco dellʼesperienza personale dellʼartista e ciò tuttora investe il nostro collocamento cardinale. Anche laddove, per mutua condivisione universale, sorge il sole, il canone per eccellenza trasfigurante del reale e di ogni formulazione dellʼindole personale è quello astratto/geometrico. In Oriente però lʼuniformità delle configurazioni spaziali bidimensionali è fondata a partire da un presupposto di natura religiosa. Lʼesemplare lezione della rappresentazione iconoclasta afigurativa è da Ak2deru integrata in un compendio interreligioso: inerente però alle sole fedi monoteiste. Monosemica è infatti la soluzione stilistica che traversa da un nucleo primigenio al suo infinito orizzonte periferico, riverberando il segno sulla tela, su masonite o su carta applicata su tavola, quasi alla maniera di come le onde sonore prodotte da un unico suono si infrangono nello spazio acustico. Unʼidea non tanto dellʼimpronunciabilità di ciò che oltrepassa lʼumana conoscenza quanto della prosodia del mistero.
Nellʼaccordatura quindi di ridotte e proliferanti pennellate va a concentrarsi lʼafflato motorio di Ak2deru. Lʼimpulso conduce dal “mondo naturale” e infine si riconsegna al “corpo”, presentendo una Luce per de-potenziare il buio catatonico e conferire una risorsa decisiva al discernimento: sempre riconoscente del prestigio tecnico e tuttavia in capo al verseggiare muto.
La mostra diparte attraverso un indizio della matrice (Studio -inchiostro su cartoncino) riorganizzante quel sentore che in fase iniziale ha catalizzato per circa due decenni lʼodierno decorso pittorico e si snoda in una serie di “annessi tasselli” di vario formato, nei quali le medesime unità elementari sono reiterate in una forma che nella variazione detiene il suo ordinamento. Il risolutivo metodo di esecuzione prospetta una visione integra segnata da un collocarsi specifico, anziché optare per un relativismo di maniera, forgiato dal sonno della misura, che invece ogni cosa legifera.
Rintracciando il sovrasensibile, disposto nelle innocenti circostanze, Ak2deru differisce il rigor mortis che ante tempus, perorando lʼoggettività del paradigma umano, ne subisce il dominio. Unitario è anche lo scenario delle intricate costellazioni degli stormi dei volatili, che danzanti sul cielo di Roma cingono adesso come un diadema lo spazio custode alla gestazione di sistemici e aulici intenti formali. Accettando dunque la sfida inerente allʼottica dei corpi in movimento, Ak2deru ha intessuto lʼinalterabile scorrere in correlazioni visive di sublime ingegno. Avendo assunto il reale quale grandezza matematica egli intesse una interdipendenza di proporzioni, presenti persino nellʼepidermide del regno vegetale e geologico e nelle membrane degli animali, tutte sviscerate da un osservare zelante che attanaglia la conoscenza: uno spasimo di prometeico riflesso.
Lʼerudizione concettuale evanescente qui non è di casa, e per fortuna! I proclami di unʼarte deliberata nei suoi preliminari speculativi mal si coniuga con la meraviglia visuale, e con tutta lʼincognita che comporta la bellezza ricavata dalla possessione atta a trasfigurare lʼimmanenza. Qui si dimena il puro credere invece che il cercare, con lʼasserzione che scovare in pittura equivale a una iniziativa generante. Altresì avviene per la percezione visiva alacremente investigata da Ak2deru, e non potrà mai essere una sorpresa plausibile sottostimare il tempo dedicato dallʼartista allʼosservazione inderogabile durante il processo del dipingere e a conclusione di ogni opera.
Nellʼunivoca griglia strutturale permane una stratificazione dei segni. Codesti, sia leggermente ricurvi come rettilinei, sono affastellati e perpetuamente interrotti nel loro anelito al continuum, e risaltano quelle tendenze al movimento ascensionale e gli stessi vortici con la carica energetica al loro centro. La saturazione dello spazio succedaneo, la quale indennizza la vulnerabilità dʼogni proposito entro il quadrante dellʼesistenza, trasforma la furia del linguaggio da premesse ancestrali e veicola il contraccambio votato in sorte. Criptico e impenetrabile è il procedere della grammatica visuale inerente alla suggestione degli scenari dei sensi. Sennonché proprio lʼAntico Testamento con la sua agevole durezza lessicale, nelle gravi meditazioni e nei cristallini proverbi, è il rimando più opportuno e allo stesso tempo problematico per esperire una lettura orizzontale: allʼaltezza cioè dello sguardo atterrito di Ak2deru.
Lo sgomento ricavato dalla visione entro la natura conferisce alle configurazioni astratte quella lapidaria constatazione del sottaciuto ordine del nostro pianeta terrestre insediato nel medio mondo della luce, tra lʼinfra e lʼultra. Apportatrice di una ennesima risoluzione della coppia dualistica di materia e spirito e in conformità ai principi etici di unʼarte non ripiegata sullʼorrore quotidiano, la forma astratta è da Ak2deru rimodulata a partire da quegli irrefrenabili fenomeni naturali che sovrastando la sfera psicologica colpiscono direttamente le viscere. Fronteggiata è inoltre la cataratta che impedisce alla poesia di perseguire il suo corso, oramai in balia di un nuovo alfabeto visivo; seduttore e vero colonialista antropologico, capace di proliferare immagini dʼincantevole terrore e di vuoto divagare illustrativo. A differenza dei primi lavori che presentano una costante monocromatica, con accenti tonali di bianco e nero, nei successivi dipinti fanno la loro apparizione una ristretta gamma di colori (il grandeggiare dei rossi, e in misura minore giallo, verde, ocra, e turchese), in un dosaggio compositivo atto a perturbare lʼincalzante algidità della predominanza al grigiarsi delle superfici.
Viene automatico da chiedersi quanto abbia influito lʼeducazione musicale per tessere questi segni che attechiscono la vista, come le note su di una partitura sono trascritte al fine di essere eseguite da un interprete prediletto. Nei disegni del compositore Iannis Xenakis, è rinvenibile questa competenza multidisciplinare che inibisce però lʼindistinzione dei due dispositivi – autonomi per loro natura – con la
consapevolezza esperita dei suoni, delle costruzioni visive e dei due circoscritti spazi da trasfigurare.
Così, da ambiti disgiunti, è nella visione che i quadri, dove le vincolate sezioni e i singoli volumi appena accennati, chiamano a raccolta unʼattenzione al limite dellʼipnosi retinica. Lo stordimento visivo è per giunta prossimo alla stroboscopia e a certe immersioni ottiche sperimentate in sede di proiezione con lo sfarfallio cinematografico; tranne che, durante la fase contemplativa nella pittura a muoversi è veramente il solo pensiero, il quale motiva una perlustrazione a distanze a sé stanti lʼoggetto del proprio interesse visivo. Se si vuole ricondurre la grafia in uso da Ak2deru bisogna, piuttosto che considerare una preminente linea di discendenza semantica con lʼeversione informale e la forma astratta, avvalersi di un incavo oltre la perentoria storia dellʼarte, anche di quella aperta al confronto e riconoscimento di talune esperienze extra occidentali.
Lʼattingere parafrastico, e non il forzato superamento, è confacente semmai a una conoscenza, in parte solo estetica, riguardante quelle società arcaiche, Aborigene in primis e con indiretto riferimento autobiografico anche allʼArte Tessile Sarda nonché alla ceramica Nuragica, le quali iconografie seguono un preciso ordine naturalistico e geometrico: persino nellʼamalgama caotico che a prima vista si lascia professare immediato in sede di gerarchia percettiva.
Nessuna leva scompositiva perciò deve stagliarsi dallʼinsieme di visione, quantomeno tra il formarsi empatico di corrispondenze e complicità arrese alla coerenza intrinseca del quadro. Ciò perché a essere trascritta nella rinuncia di Ak2deru risulta, quasi morfologicamente, una concatenazione che prescinde da un apporto riconducibile allʼestro soggettivo: pure nel paradosso dellʼesercizio artistico quanto mai memore di sé.
In questa prima personale di Ak2deru, pressoché frequente a slanci di onnivoracità nei confronti delle arti visive come in musica, si avverte un primo netto impiego del congegno pittorico funzionalmente indirizzato ad una scevra identità, forte di esonerate alterità espressive e/o figurali. Cosʼaltro potrà raggiungere data cartografia delle sensazioni? Fosse una domanda plausibile, di sicuro lo sguardo attento quanto basta a convincersi – nel distrarsi – per cogliere al contempo; in sfavorevole regime, lʼapparenza di quello che non ci ha sospinti oltre, e dal perduramento dellʼinclinazione “retorica” forse lʼagonia capovolta. Gli stimoli visivi, al di là di una dissipazione indiscutibile, si contendono lʼoccasione propizia a circoscrivere il molteplice nel quadro. Un coincidere dellʼestraneo che ci portiamo dentro e che sorprendentemente qui è traducibile in una lingua altra dal positivo della realtà, strappato in maniera incontestabile nel processo di riproduzione fotografica.
Sebbene i livelli interpretativi sul significante possono essere plurimi, le traiettorie centripete, stratificate nei segni sincopati, posizionano al di fuori una realtà giammai abbandonata e sorretta da quel sapere dar credito. Occorre in più fare i conti con i tratti, di similitudine scritturale e ridondanti, e la minuzia ancora collimante degli sparuti colori per favorire quellʼinedita armonia tramandataci dai procedimenti poetici che nellʼuniformità analitica di composizione sovente accentuano le linee di elaborazione del dolore.
Pronto a destare la dimensione estetica è quel principio razionale di concorrere a testimoniare, come direbbe Stanley Cavell, una valenza universale proprio nella sua cifra di singolarità.
Ak2deru investe su quei contenuti primari fino allo sfinimento sfruttando le occasioni che si adattano alla logica connaturata nellʼattrito con lʼiconografia realistica. Il rovesciamento però non attiene il “reale” ma la sua versione confortante, lʼimpareggiabile imitazione dellʼecumene, del “vero”.
Sottoponendo il costrutto vitale al preziosismo monosemico egli lacera la stabilità omogenea, quanto a resa tonale e architettonica, delle pareti ospitanti. Proprio in questo considerevole accollamento segnico nondimeno si deve omettere una normativa estetica, fino ad ora sottaciuta, di purificazione tramite il serafico bianco avorio e di titanio che pure eclissando nel suo stratificarsi materico la proliferante turbolenza quantica delle funeree sollecitazioni sottostanti apre la strada alla segretezza mimetizzata nel divino.
Martirologio non più della carne ma dei processi emozionali, che ricorrono ora a destinare alla composizione pittorica la spinta dinamico-vitale nella sua essenziale costruzione formale, come nello stile.
La trama di concepimento segue in definitiva uno schema deduttivo organico accertato, eppure scalzato di fronte allo storiografico impasse, sopraggiunto con lʼinnesto sul campo artistico di action figures desideranti che lamentano attenzioni costanti e oltretutto verso quello di cui si dovrebbe avere il senno di non mettere in scena, di non ricostruirlo, da non riprodurre, insomma.
Un intensificarsi di avvertite diramazioni lessicali implicano in Ak2deru lʼapplicabilità di una implosiva geometria iperbolica che non trascura il termico andirivieni emozionale. Irrelata comunque dal criterio a gettito dellʼistinto appare una funambolica conformazione ordinante, e nel tumulto di limitative grandezze indica un sostrato ambivalente. Questo sfuggente valore risponde a un giustificato diversificarsi che emergerebbe dal segno impresso nella vita: motivo primo che rappresenta un abbozzo di accadimento – “Cammina in silenzio/ non andartene, in silenzio” – che elude il disidentificato spendersi quotidiano allʼarte. Superato lo scisma tra la ventura individuale e la natura a Ak2deru non rimane che convergere una volta per tutte sul confine dellʼatto unificante, per il quale nel ferreo dogma monosemico si pone la traccia di ciò che, perdurando oltre lʼapparenza recinta nel perimetro del quadro, ha una valenza di irrinunciabilità nella sua conseguenza a complementizzarsi.
Non sorprende quindi di imbattersi in massimali collegamenti pittorici, entro specifici approcci circostanziati alla progressione a diversificare, in un ondeggiamento di riferimenti nellʼarco degli ultimi cento anni tra motivazioni determinanti e ignoti antefatti; dalle catalizzanti porzioni di aree intrise di flusso con tendenza accelerante, tipiche del dinamismo futurista di Balla (Monosema – acrilico su tela 128 x 256 cm), ai simmetrici ordini di ritmi incastonati di Robert e Sonia Delaunay (Monosema – olio e acrilico su tela 130,5 x 211 cm), a lʼaffastellamento segnico di Mark Tobey (Monosema – olio e acrilico su tela 200 x 100 cm) agli elementi strutturali privi di raccordo nella sovrapposizione delle linee nei quadri di Ed Moses (Monosema – acrilico su tela 40 x 50 cm), al controllo delle forme degli arabeschi geometrici dipinti da Philip Taaffe (Monosema – olio e acrilico su tela 130,5 x 211 cm) al lirismo di Gastone Novelli, arricchito nellʼimpiego del bianco di acrilici dorati e argentei che restituiscono tramite iridescenti luminosità una connotazione di pittura a olio (Monosema – acrilico su tela 211 x 211 cm): tutto ciò nondimeno delimita ulteriori ascendenze quali la ricerca spazialista e lʼinsistenza geometrica (e/o “il movimento delle cose”) di Dadamaino.
In data assidua iconoclastia della sensatezza oggettiva, pure se distillata attraverso la sua variante individuale, risiede paradossalmente per lʼappunto la possibilità di creare immagini.
Nella fattispecie difatti gli aggregati visivi antiprospettici di Ak2deru, effettuati in seguito a una articolazione percettiva semiocinetica, sono stati realizzati in alternativa al comporre con le immagini: esse pertanto si trovano a essere state prodotte quasi per scongiurare lʼinforme che di certo ne conseguirà allo statuto del reale.
Una prerogativa inoltre su cui non è possibile sorvolare è lʼassunzione di un parametro quantitativo. Di “piena” invasione delle superfici è propriamente il suo approccio fattivo a compiere nellʼaustero e incommensurabile “vuoto” i dettami indefessi, che rinnovano il fondamento di una individuale immediatezza espressiva. Allʼossequio dellʼastrazione mentale Ak2deru predilige quella più fervente del meccanismo pittorico da interrogare, nelle contingenze che contaminano in “positivo” lʼassunzione di problemi intrinseci. Lʼeuforia di stesura delle forme prive di sfondo e lʼapplicazione del colore è connaturata perciò al padroneggiamento di tecniche manuali. Il dare importanza e quindi valore a fronteggiare gli impedimenti che il tempo suffraga denota una persistenza interna, una congettura riscattante le conquiste sui materiali da assoggettare e il prolungamento di una radicale tradizione della pittura non-oggettiva.
La connessione fenomenica mimetizzata dal distinguersi dei segni astratti geometrici artiglia la percezione in un attraversamento nel quale contrazioni e espansioni spronano il complesso enfatico dei dinamismi che si danno ben oltre lo spazio visivo.
Per volere tendere il più possibile in direzione di una estensiva lettura – innanzi alle risposte paradigmatiche dei procedimenti artistici – nei confronti di domande volutamente non formulate, ci si dovrà allora confrontare con lʼintero corpus dei lavori selezionati. Esso richiama alla memoria sofisticate norme matematiche, non riducibili però a delle realtà fattuali, e ciò evidenzia unʼulteriore relazione di affinità: quella con il pensiero che contraddistinse la progettazione dellʼarchitettura barocca.
Nel gruppo di opere esposte sono conciliate tutte tali primarie riflessioni e in definitiva Ak2deru ha intrapreso nientʼaltro che una monolitica ricerca – ad minimum reducere – effettuata con rigore e cruciale esperienza: e in questi tempi di precarietà diffusa delle emozioni estetiche, non è da poco sapere incantare anche per mezzo della “logica” che acconsente di presupporre il beneplacito dellʼirrazionale.
La complessificazione risultante poggia su un paradosso confutativo che incalza la moderna esuberanza creativa dinanzi alla mistificazione, cui si addice il proscenio glorioso allestito di cronaca e savoir-faire. Atavica è invece questa pittura, non scalfita nemmeno dallʼomissione nel presente dellʼinafferrabile.
Piero Pala
Marzo 2015
